La città che si srotola come un film muto ha qualcosa di magico ed effimero,soprattutto all’imbrunire quando il sole cede il passo alle prime luci dei lampioni ed il freddo si fa più pungente.
Seduta sul parapetto di mattoni rossi il mio sguardo insegue una foglia dorata;un flutto che scivola lento.
Il viaggio della foglia che sembra non fermarsi mai mi ricorda quello della vita di Marco;ha sempre corso di qua e di là dimenticando ogni dubbio..ogni incertezza.
Marco,braccia bucate da aghi che iniettano morte,gambe che si risollevano ogni volta che calpesta la sua dignità…e se gli occhi sono lo specchio dell’anima Marco è un libro di pagine bianche.
Chi siamo io e Marco?
Io e Marco siamo la fine di un destino,l’ultima pagina di un diario,il tramonto di un’amore.
L’ho incontrato 8 mesi fa
Come ogni pomeriggio studiavo sulla panchina dei giardini pubblici.
Il freddo che penetrava in ogni parte del corpo mi faceva concentrare al massimo e mentre leggevo il mio pesante libro universitario,Marco si sedette accanto a me.
Mi voltai a guardarlo e nell’attimo preciso in cui i nostri sguardi s’incrociarono mi disse:
“nella vita c’è molta sofferenza e forse l’unica sofferenza che si può evitare è la sofferenza di evitare la sofferenza. Conosci Laing?”
“certamente,anche tu studi psicologia?”
“no…cerco di sopravvivere”
Le sue parole squarciarono la serenità del mio cielo seminando innumerevoli domande che avrei voluto fargli,ma non fui capace di parlare,non mi uscì nemmeno una parola.
Abbassai lo sguardo sperando che almeno il vento rompesse quel silenzio.
“scusami,non volevo imbarazzarti. Volevo dire che leggo moltissimi libri per sfuggire dalla crudeltà della mia vita. Comunque io sono Marco”
“piacere io sono Cristina”
Da quel momento ogni barriera venne abbattuta e incominciò a raccontarmi la sua vita come se fossi la prima persona disposta ad ascoltarlo.
Lavorava ogni sera in un pub come cameriere e da pochi giorni viveva da solo in una piccola mansarda.
Per ben tre ore quella panchina nel parco era diventata il nostro mondo,tutto ruotava intorno ad essa.
“vuoi vedere dove vivo?Sai questa sera non lavoro e per una volta non vorrei mangiare da solo”
non so cosa mi spinse ad accettare quell’invito,ma il mio cuore se ne fregò dei timori inculcati dai telegiornali,della mamma che fin da bambina mi diceva “non parlare con gli sconosciuti”. In quel momento vedevo soltanto i suoi due occhi azzurri in cerca di sole dopo centinaia di delusioni.
Ritornai a casa con il suo indirizzo tra le mani e passai quelle poche ore che ci separavano pensando che per la prima volta in vita mia avevo osato.
Dividevo l’appartamento con tre amiche di facoltà a cui non raccontai niente del mio incontro,non per mancanza di fiducia,ma perché non volevo rompere l’incanto.
Era la mia favola e di nessun altro.
Alle 20:30 mi trovavo già sotto casa sua,aspettai cinque minuti per non fargli capire la mia ansia…suonai il campanello ed incomincia a salire i sei piani di scale.
Con affanno arrivai finalmente alla porta e lui era li:capelli ribelli legati furtivamente con un elastico nero,maglione di lana protettivo su jeans a cavallo basso.
“ciao Cri,accomodati”
“grazie,spero di non essere in anticipo”
La prima cosa che mi colpì era quella scritta nera sul muro TUTTO SCORRE,i libri sparsi sul pavimento,un cavalletto con una tela ancora vergine da disegnare e barattoli di colori che rallegravano quella piccola,ma deliziosa mansarda.
“sai ho preso qualcosa al ristorante cinese,perché se cucino io finiamo la serata al pronto soccorso”
“io ne vado pazza,c’è soltanto un problema.. non so usare le bacchette”
“no problem!ci penso io!”
Mi imboccò per tutta la cena e quando dalla radio esplose Never forget you di Mariah Carey mi invitò a ballare.
Quando la musica smise di accompagnarci il cuore mi balzò in gola nell’attimo del panico che precede la sorpresa,ma un secondo prima di sciogliermi sulle sue labbra,si allontanò di pochi centimetri,tirò su la manica del maglione e..
“Mi drogo Cristina”
Quelle braccia martoriate mi svuotarono la mente,non sapevo più che cosa fare.
Capii che soltanto baciandolo avrei saputo scegliere.
Presi il suo viso tra le mani e lo baciai delicatamente.
Da quel momento fu amore.
La mattina seguente mi risvegliai sul suo letto annusando ancora il suo profumo tra le lenzuola,ma lui non c’era.
Di scatto mi alzai e Marco si trovava seduto sulla sedia a guardarmi.
“sei bellissima quando dormi”
presi il cuscino e glielo tirai “stupido,vieni qui”
incominciò a baciarmi su tutto il corpo provocando emozioni che fin in quel momento avevo represso e all’orecchio mi sussurrò “ho preparato la colazione”
Mi stiracchia,misi il suo maglione e appena mi voltai il mio sguardo fu subito colpito da una rosa disegnata sulla tela.
Con voce timida “è l’unica rosa che posso offrirti”
Aveva preparato il caffè,comprato cornetti caldi e soprattutto mi aveva regalato uno spicchio di felicità.
Non sapevo come affrontare il discorso della droga,avevo paura di svegliarmi dal sogno,dissi soltanto
“perché?”
Marco senza alzare lo sguardo “mio padre non mi picchiava da piccolo,mia madre non mi ha abbandonato in un cassonetto. Non ho scusanti. Ho iniziato per caso e mi ritrovo a non poterne fare a meno.”
Si alzò di scatto aprì la porta di casa e con gli occhi lucidi
“se vuoi andartene fallo ora,senza rimpianti. Ma se non vuoi amami per quello che sono e aiutami a vivere di nuovo”
Asciugai le sue lacrime così come nei mesi avvenire chiudendo fuori dalla porta l’obiettività.
Mi ricordo la prima volta che lo vidi fatto,sembrava vivere in un’altra dimensione,camminava ad un palmo da terra,credeva di volare,volare in alto…ma non si accorgeva che più si bucava più cadeva in basso.
Ed io mi sentivo impotente.
Volevo fuggire,correre,urlare tutta la mia rabbia,ma non potevo farlo,così mi rinchiudevo in bagno,aprivo il rubinetto della doccia ed incominciavo a piangere.
Nessuno mi doveva sentire,almeno io dovevo essere forte.
Lo stringevo forte tra le mie braccia e non lo lasciavo fino a quando la mia “rivale” non aveva fatto il suo corso.
Si,consideravo l’eroina la mia rivale. Sapeva dare a Marco ciò di cui aveva bisogno.
Entrava dentro di lui,lo estasiava e gli creava un mondo dove rifugiarsi dalla realtà.
Ogni volta speravo fosse l’ultima,non riuscivo più a studiare,la notte non dormivo per aspettare il suo ritorno.
Ma dopo una giornata passata tenendo la sua testa sul water cercando di farlo vomitare dissi basta.
“cristo devi smetterla!io ti amo più della mia stessa vita,ma non voglio essere complice della tua morte”
Non rispose ed io me ne andai.
Per una settimana non ebbi notizie di lui fino a quando arrivò il 18 luglio annunciando la sua morte.
Fu investito da una macchina e solo dopo seppi che stava ritornando dalla comunità di Don Piero dove si era iscritto.
E’ vissuto da drogato ed è morto da drogato.
“perché Dio non gli hai dato tempo!voleva riscattarsi e tu hai messo la parola fine.con che diritto me l’hai tolto!”urlò con tutta la voce che aveva in corpo.
Andò a casa sua a prendere gli ultimi ricordi e notò subito che la scritta sul muro TUTTO SCORRE non c’era più,aveva impresso il suo nome CRISTINA forse almeno lei aveva lasciato traccia.
Ora Cristina passa le sue giornate sulla panchina del parco aspettando che Marco si sieda di nuovo accanto a lei.
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